edited by Elena Vallino, Università di Torino e OEET
INTRODUCTION
Elena Vallino
Ethiopia is the second most populated country in Africa. Due to the specificities of its history – it is the oldest independent African country and experienced only an exceptionally short period of colonization - it became one of the symbols of African independence during the colonial time. Ethiopia was one of the first countries to sign the Charter of the United Nations, and it played an active role to the growth of Pan-African cooperation. These processes culminated in the establishment of the headquarters of the African Union and of the United Nations Economic Commission for Africa in Addis Ababa. During the ‘70s and the ‘80s Ethiopia experienced civil conflicts which hindered its economy and social development. In 1993 separated from Eritrea after a long conflict. The country has since then recovered and at the present moment experiences the largest Gross Domestic Product in East and Central Africa.
Ethiopia is one of the most evident cases of a tendency highlighted by scholars and macroeconomists about the African continent: growth without industrialization.
Jan Priewe, University of Applied Sciences, Berlin
Sintesi
Nell’ultimo decennio l’Etiopia ha registrato tassi di crescita economica molto elevati, nonché miglioramenti degli indicatori di sviluppo, collocandosi rapidamente in cima alle classifiche dei paesi dell’Africa sub-sahariana e catturando così l’attenzione degli economisti. Il presente articolo fornisce un’interpretazione del miracolo economico etiope alla luce delle teorie keynesiane e strutturaliste sullo sviluppo. I governi che si sono succeduti hanno chiaramente intrapreso una strategia di “state-led development”, basata su consistenti investimenti in infrastrutture e modernizzazione del settore agricolo, sulla presenza di vaste imprese statali all’interno dell’economia di mercato, su politiche monetarie e fiscali molto espansive e sullo sfruttamento dei termini di scambio positivi per prodotti legati all’esportazione. La conseguente crescita della domanda aggregata ha generato un aumento dell’offerta aggregata ed una spinta al progresso tecnico nel settore agricolo, con spill-over nel terziario. Se da un lato tali trend sono compatibili con affermate teorie riguardanti il big-push e gli obiettivi di crescita inclusiva, la mancata industrializzazione e una mancata politica di gestione del tasso di cambio , nonostante la crescita, rappresentano un peculiare elemento di discontinuità con tali teorie. L’articolo conclude con riflessioni sulla sostenibilità della crescita etiope e sulle conseguenze del boom edilizio e del land-grabbing in termini di conflitti sociali sulla distribuzione delle risorse.
Ethiopia’s GDP grew in the period 2003-2016 by 10.6% annually, per capita by 7.8% - the highest growth rate in Sub-Sahara Africa (SSA) in this period. This growth lifted the country at rank 12 (2014) from the bottom in SSA, in terms of GDP per capita, while it was the poorest country in 2000 (besides countries with no data available). With now 105 million population, it is the 2nd biggest country in Africa, after Nigeria. 75% of the labour force is still involved in subsistence agriculture as smallholder peasants, 61% of population are still illiterate (2012). What is more, on a broad number of development indicators, the country improved a lot. Absolute poverty (1.90 PPP US-dollar per day) fell, so did child mortality and child under-weight as well as under-nourishment in general; life expectancy at birth increased by 12 years (2000-2014), births per woman dropped from 6.5 to 4.4 (2000 to 2014), while the Gini coefficient rose from 29.8 to 33% 2014. All data may be somewhat dubious, but probably not much more dubious than in other African countries. In 2016 growth plummeted somewhat. In 2016 GDP growth dropped to 7.6% and only 6.1% was expected for 2017 (data from World Development Indicators and for 2015ff. estimates from Economist Intelligence Unit).
Cecilia Navarra, The Nordic Africa Institute, Uppsala
Sintesi
La disoccupazione urbana in Etiopia rimane a livelli elevati, nonostante la riduzione dell’ultimo decennio. Una delleprincipalipolitiche pubbliche per farvi fronte è la promozione di micro e piccole imprese (MSEs), sostenute da programmi di credito e formazione. L’evidenza empirica sulla piccola impresa, però, produce risultati diversi e in parte contrastanti. Alcuni di questi risultati sono riportati nel presente articolo, attingendo in particolar modo da una ricerca quali-quantitativa condotta da C. Navarra (Nordic Africa Institute) e D. Chinigò (Department of Sociology and Social Anthropology, StellenboschUniversity, South Africa) che confronta settore informale e MSEs sostenute da progetti di promozione pubblica: l’analisi mostra che queste MSEs non producono redditi significativamente maggiori o più stabili rispetto al settore informale, ma inseriscono i beneficiari in circuiti di credito formale. In conclusione, si ipotizza un legame tra difficoltose condizioni di lavoro nel mercato del lavoro salariato e sviluppo della piccola impresa autonoma come alternativa.
Ethiopia, in its unprecedented phase of economic growth, is also experiencing a fall in unemployment rates. Still, these remain quite high, especially in urban contexts: the average urban unemployment rate in 2014 was 16%, with a peak in Addis Ababa (24%). These rates were respectively 22% and 33% in 2003. According to the World Bank 5th Ethiopia Economic Update (WB, 2016), an important characteristic of the Ethiopian urban labour markets in the last decade has been the presence of an increasingly educated work force, but with little change in the structure of employment, both with respect to the ratio between wage employment and self-employment, and with respect to sectorial composition. Moreover, real wages have not reflected the increased level of education of the labour force: although improvements are observed after 2012, these do not compensate for previous decreases.
Alexander Jordan, University of Turin and Sahay Solar Association Africa, Frankfurt am Main
Sintesi
Nonostante l’eccellente performance dell’Etiopia in termini di crescita economica, il paese presenta difficoltà significative nella gestione di siccità e carestie che ostacolano un pieno processo di sviluppo. Le strategie governative per affrontare la vulnerabilità in ambito rurale si focalizzano sulla modernizzazione delle tecniche agricole. Il presente articolo spiega che tali metodi risultano insufficienti a causa della persistenza di fattori legati alla vulnerabilità come la forte crescita demografica e la mancanza di infrastrutture in aree rurali remote. Inoltre la maggior parte della popolazione rurale etiope utilizza biomassa, come il legno, come fonte primaria di energia, con impatto negativo sulla produttività dell’agricoltura e sulla disponibilità di risorse naturali e sui conseguenti conflitti sociali. L’autore presenta come consistenti investimenti in energia rinnovabile rappresentino un interessante potenziale per lo sviluppo delle aree rurali del paese, che permetterebbe di affrontare diverse dimensioni delle sue fonti di vulnerabilità.
The Ethiopian economy has developed impressively with double digit growth over the last decade (Deloitte, 2014). In contradiction to other fast growing economies like Nigeria or Angola, Ethiopia achieved its remarkable growth without exploiting fossil resources .Yet, the strongly agricultural based economy suffers as 85% of the Ethiopian soil is at least to some extent degraded and this threatens agricultural productivity and food security (Gebreselassie et al., 2016). The problem will potentially deteriorate in the future due to the ongoing rapid population growth. According to estimations Ethiopia is projected to have 140 million inhabitants by 2030 and 190 million inhabitants by 2050 from which more than 65% of the population are likely to live in non-urban areas (Wordometers, 2017).
Pierluigi Conzo, University of Turin
Sintesi
Questo articolo sintetizza i risultati principali di uno studio sulla fecondità e la felicità nell’ Etiopia rurale condotto da P. Conzo (Università di Torino), G. Fuochi (Università di Padova) e L. Mencarini (Università Bocconi) e pubblicato sulla rivista scientifica “Demography”. I risultatisuggerisconoche, al netto delle condizioni di povertà soggettive ed oggettive, in Etiopia rurale avere molti figli genera una condizione di felicità percepita. Tuttavia questo risultato è confermato solo per gli uomini in età avanzata, mentre per le donne - cui spetta il fardello della gravidanza, del parto e della cura dei figli – l’effetto va in direzione opposta. Per le donne la nascita di un nuovo figlio comporta una riduzione del benessere soggettivo, un “costo” cioè per una scelta di investimento di cui beneficerà in futuro solo il marito. Questo studio offre quindi una spiegazione al perché i tassi di fecondità sono ancora elevati in Etiopia rurale (e in generale in Africa Subsahariana), un tema centrale per attivare processi di sviluppo basati sull’espansione di programmi di welfare, miglioramenti delle strutture sanitarie e promozione del ruolo decisionale della donna, segnando un graduale passaggio da quantità a “qualità” (istruzione e salute) dei figli.
Despite a general decline across the world, fertility remains very high in Sub-Saharan African countries, where it is above the replacement level and correlates to high poverty. There are several explanations to why parents still have so many children. One recurrent argument focuses on adults' perceived benefits from having children. The traditional economic theory of fertility, the Value of Children approach and the Intergenerational Wealth Flows go in this direction. They explain high fertility by recognizing that children are perceived as a value because they are a source of labor and support especially in old age.
10 years of the Turin Centre on Emerging Economies: lessons learned and perspectives for the...