INTRODUZIONE
Elena Vallino
L’Etiopia è la seconda nazione più popolata dell’Africa. A causa delle specificità della sua storia – è la più antica nazione indipendente africana ed è stata colonizzata solo per un periodo relativamente breve – è diventata uno dei simboli dell’indipendenza africana durante il periodo coloniale. L’Etiopia è stata una delle prime nazioni a firmare la Carta delle Nazioni Unite, e ha giocato un ruolo attivo nella crescita della cooperazione pan-africana. Tali processi sono confluiti nell’insediamento ad Addis Ababa dei quartier generali dell’Unione Africana e della Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite. Durante gli anni ‘70 e ‘80 l’Etiopia ha vissuto diversi scontri civili che hanno ostacolato lo sviluppo sociale ed economico del paese; nel 1993 si è separata dall’Eritrea in seguito ad un lungo conflitto. Al giorno d’oggi il paese ha superato le fasi più difficoltose, diventando la più estesa economia dell’Africa orientale e centrale.
L’Etiopia è uno dei casi che meglio rappresentano una tendenza evidenziata da studiosi e macroeconomisti riguardo al continente africano: crescita economica senza industrializzazione. Normalmente i paesi in via di sviluppo che producono tassi di crescita economica elevati senza fare affidamento su uno sfruttamento massiccio delle risorse naturali perseguono una strategia di industrializzazione orientata all’esportazione. Tuttavia questa particolare tipologia di cambiamento strutturale è difficile da identificare in diversi paesi dell’Africa sub-sahariana con buona performance economica, i quali, come sostiene Dani Rodrik in un articolo su Project Syndicate (10 Ottobre 2017), sembrano addirittura attraversare una fase di “deindustrializzazione prematura”. Tali paesi infatti non riescono a mettersi al passo con le opportunità di sviluppo dell’ industria manufatturiera skill-intensive come è accaduto a molte economie asiatiche. Osservando alcuni paradossi, Rodrik si domanda se alcune economie africane non stiano sviluppando un nuovo modello di crescita. In diverse economie africane a basso reddito, fra cui l’Etiopia, la forza lavoro si è spostata da attività agricole a bassa produttività ad attività a maggiore produttività. Tuttavia queste ultime sono principalmente allocate nel settore dei servizi e non in quello manufatturiero. Inoltre, mentre la produttività del lavoro sembra essere cresciuta fortemente nelle attività agricole grazie a consistenti investimenti pubblici, è diminuita per le attività non agricole, a causa di un’insufficiente sviluppo nel settore moderno. Senza un cambiamento strutturale dell’economia e un innalzamento duraturo della produttività nel settore manufatturiero, l’elevata crescita economica potrebbe non persistere nel tempo, con conseguenze negative sul processo generale di sviluppo di tali paesi africani.
L’Etiopia ha registrato un’impressionante crescita economica durante l’ultimo decennio e ha migliorato fortemente la sua posizione nel ranking delle economie africane nello stesso periodo. Nel 2008 è stata l’economia che è cresciuta più velocemente fra i paesi africani non dipendenti dal petrolio. Tuttavia, nonostante la forte crescita del PIL, il suo reddito pro capite rimane fra i più bassi del mondo. Secondo la letteratura scientifica, la combinazione di tali condizioni qualifica l’Etiopia come economia emergente, e mentre è interessante osservare le sue contraddizioni sociali ed economiche, è arduo interpretare e fornire una spiegazione di tali tendenze. Gli indicatori di sviluppo dimostrano una buona performance per quanto riguarda la riduzione della povertà e dell’analfabetismo e il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione. Il governo ha investito in grandi infrastrutture e programmi di sviluppo, focalizzati sulla modernizzazione del settore agricolo, sulla creazione di parchi industriali, sulla produzione di energia idroelettrica e sullo sviluppo delle piccole e medie imprese. Tali misure apparentemente hanno condotto ad un aumento significativo della produttività e dei redditi agricoli, con ricadute positive su altri settori. Tuttavia, i dati mostrano che un reale sviluppo del settore manufatturiero non ha ancora avuto luogo, che la produttività del lavoro in settori non agricoli è ancora bassa e la maggior parte della popolazione vive ancora in aree rurali. Anche il mercato del lavoro presenta caratteristiche contradditorie: i tassi di disoccupazione sono diminuiti durante il periodo di crescita economica, rimanendo però alti. La forza lavoro ha migliorato il livello di educazione, riflettendo in questo modo trend positivi in termini di alfabetizzazione e sviluppo di qualifiche, ma non ha modificato la sua composizione settoriale e le sue caratteristiche, né i salari reali si sono modificati in base all’aumento di qualificazione.
Questo numero della nostra newsletter offre uno sguardo ampio sull’Etiopia, sia da un punto di vista macroeconomico che microeconomico, che permette di approfondire elementi differenti e contrastanti della sua economia e società.
Jan Priewe presenta un’ampia panoramica sui trend macroeconomici dell’Etiopia, sottolineando le sue contraddizioni, e presenta una narrazione per interpretare e spiegare da un lato il miracolo economico e dall’altro lato gli obiettivi che non sono stati ancora raggiunti. Così facendo, evidenzia quali dimensioni del percorso di sviluppo etiope possono essere spiegate dalle teorie keynesiane e dai concetti strutturalisti di sviluppo, e in quali ambiti tali teorie non sono applicabili.
Cecilia Navarra affronta il tema del mercato del lavoro in Etiopia e l’interazione fra le attività imprenditoriali formali e informali. Prende in considerazione le conclusioni contradditorie in merito all’impatto dei programmi governativi per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, i quali idealmente sono focalizzati al supporto della crescita economica e sociale attraverso un processo di formalizzazione dell’imprenditoria economica.
Alexander Jordan scrive riguardo alla povertà nelle zone rurali dell’Etiopia, che è ancora persistente a causa della vulnerabilità agli shock climatici, del potenziale depauperamento delle risorse naturali utilizzate come fonte di energia primaria, e della scarsità di infrastrutture. In particolare, presenta la potenzialità che risiede nello sviluppo di energie rinnovabili per affrontare diverse tipologie di problematiche della popolazione rurale etiope.
Pierluigi Conzo offre uno sguardo sulla questione del legame fra fertilità e soddisfazione, sempre fra la popolazione dell’Etiopia rurale. Utilizzando dati delle statistiche nazionali, scrive riguardo all’interazione fra le condizioni di povertà oggettive e soggettive, le dinamiche di fertilità e la percezione della felicità, con considerazioni riguardo alle dimensioni di genere e alle diverse fasi di vita. Sottolinea come le conclusioni di tale studio possono informare le decisioni di policy orientandole verso interventi che supportino lo sviluppo delle aree rurali.