di Vittorio Valli, Università di Torino
Vi è una grave e duratura crisi nella finanza cinese ? La risposta è probabilmente negativa visto l’inizio del riassorbimento della crisi borsistica di questa estate. E’ tuttavia elevato Il pericolo di una crisi assai più seria nel medio-lungo termine.
Nel giugno-agosto 2015 la bufera avvenuta nella finanza cinese, col crollo della borsa valori di Shanghai, ha avuto un grande impatto sull’economia cinese, ma anche sui mercati finanziari mondiali, portando a forti, anche se temporanee, cadute negli indici di borsa delle principali piazze finanziarie mondiali.
Le preoccupazioni dei mercati finanziari mondiali erano anche alimentate da un duplice fenomeno: lo scoppio della bolla immobiliare e il vistoso rallentamento tendenziale della crescita economica cinese.
Il prezzo degli immobili, che era cresciuto grandemente nel 2013 e nella prima metà del 2014, era poi caduto fino all’estate del 2015. Il tasso di crescita del PIL reale, che era stato in Cina del 9,5 % nel 2011, era poi sceso al 7,3 % nel 2014 e al 6,8% nel 2015, secondo le stime preliminari del Fondo Monetario internazionale.
Va tuttavia notato che una crescita del PIL reale del 6,8% nel 2015 sarebbe considerata eccezionale in gran parte dei paesi del mondo. E’ più di due volte e mezza quella degli USA, oltre quattro volte quella della Germania e circa otto volte quella della, assai timida, ripresa economica dell’Italia.
La dinamica della finanza della Cina va tuttavia valutata in un arco temporale assai più ampio. Nel lungo periodo un paese si dota di una finanza più vasta e più solida se si verificano tre principali condizioni: a) se aumenta la ricchezza complessiva del paese, comprendendo sia la ricchezza delle famiglie, sia quella delle imprese e dello Stato, b) se il paese si dota di un sistema finanziario equilibrato ed efficiente, c) se il governo e le autorità monetarie possiedono gli strumenti per esercitare un adeguato controllo del mercato finanziario nazionale in caso di scoppio di una crisi.
E’ importante sottolineare la grande rilevanza, troppo spesso sottovalutata nelle analisi economiche, dei rapporti tra stocks (come la ricchezza) e flussi, quali il reddito, gli investimenti e i consumi. Forti e subitanee cadute dei prezzi di variabile stock, come, ad esempio, gli immobili o le azioni, possono determinare sconvolgenti onde d’urto sull’economia, come è successo in Giappone nel 1990 -91 e negli Stati Uniti nel 2007-08, e ciò può portare a drammatiche crisi finanziarie e reali*.
Più grande quindi è lo stock di ricchezza, più grande è, a parità di altre circostanze, la potenza finanziaria di un paese, ma più dirompente può essere l’impatto di una forte riduzione dei prezzi delle azioni o degli immobili sul normale funzionamento dei mercati finanziari e della economia reale.
La letteratura economica è colma di lavori sulle bolle speculative di breve periodo sul mercato delle azioni e delle altre attività finanziarie e su quello degli immobili, ma è troppo scarsa e certamente inadeguata sulle bolle strutturali, che montano gradualmente in molti anni o decenni. Com’ è avvenuto in Giappone dagli anni 1950 alla fine degli anni 1980, o negli USA prima del 2007, o come sta avvenendo in Cina negli ultimi due decenni, vi può essere infatti il progressivo gonfiarsi di gigantesche bolle strutturali nel mercato azionario e nel mercato immobiliare, sia pure interrotte in diverse occasioni da ampie fluttuazioni e temporanee brusche cadute degli indici azionari e del mercato immobiliare.
In Cina le bolle strutturali di lungo periodo nei mercati azionari e immobiliari sono state rafforzate sia dall’elevata crescita economica del paese, sia dalle politiche economiche decise dal governo dopo il 1978, che hanno favorito il graduale ampliamento del mercato e della proprietà privata**, o, come nel caso degli immobili, anche della proprietà d’uso degli stessi per periodi assai lunghi (70 anni per gli immobili residenziali).
L’enorme propensione al risparmio delle famiglie cinesi e l’ aumento tendenziale molto forte delle imprese private e delle diseguaglianze economiche hanno contribuito a creare una sempre più ampia classe di nuove ricchi o di persone agiate e hanno alimentato le bolle strutturali finanziarie e immobiliari. Un’idea dell’ampiezza di tali bolle può essere data dal fatto che, nonostante le recenti crisi, l’indice composito della borsa valori di Shangai è cresciuto di oltre 4,5 volte dall’ottobre 1995 ad oggi e il volume degli scambi nelle borse di Shangai e Shenzhen si è da allora ingigantito. A sua volta l’indice dei prezzi degli immobili in Cina è all’incirca quadruplicato nello stesso periodo ed è salito assai più della media in grandi città come Shanghai e Pechino.
Va notato che il volume di attività nell’edilizia in Cina, pur con ampie fluttuazioni, è salito negli anni 2000 in maniera impressionante (di circa il 25% l’anno) contribuendo in modo decisivo alla fase di rapidissima crescita e poi al recente rallentamento dell’economia cinese. Nel 2014 il settore delle costruzioni già rappresentava una parte importante del PIL cinese e le case costituivano circa il 43% della ricchezza delle famiglie, mentre il 9% era rappresentato dal possesso delle azioni. Per un confronto, negli USA tali percentuali erano il 23% per le case e il 36% per le azioni***. Tuttavia in Cina non vi è la strettissima interconnessione esistente negli Stati Uniti tra settore immobiliare e finanza, per cui è più difficile che una seria crisi immobiliare determini una grave crisi finanziaria, come è accaduto negli USA nel 2007-08. Infatti, “il rapporto tra il debito per i mutui ipotecari e le attività immobiliari è in Cina solo il 7%, e i compratori di immobili cinesi debbono versare il 30% del valore degli stessi per poter avere un mutuo ipotecario di primo grado" ****.
Veniamo ora alla seconda e alla terza condizione di una finanza solida: ha la Cina un sistema finanziario equilibrato ed efficiente e strumenti di regolazione e controllo efficaci?
Sul primo problema si hanno seri dubbi. Le banche cinesi sono in prevalenza statali e finanziano in larga misura le grandi imprese statali, spesso trascurando le piccole e medie attività cooperative e private in rapida crescita. Si è creato in tal modo un “sistema bancario ombra”, ben trattato in questo numero nel contributo di Ippolito, che finanzia le imprese piccole e medie. Le banche ufficiali ,“il sistema bancario ombra”, diversi enti locali e, in misura minore, lo Stato centrale e le famiglie, hanno registrato negli anni 2000 un forte aumento del rapporto debito/PIL sebbene in totale tale rapporto sia non di molto superiore a quelli di Stati Uniti e Germania. Va tuttavia ricordato che la situazione finanziaria di numerose grandi imprese statali è notevolmente migliorata dopo i grandi processi di snellimento, ristrutturazione e riconversione della fine degli anni 1990.
Le borse valori cinesi sono quelle di Shanghai e di Shenzhen, operative solo dall’inizio degli anni 1990, ma va ricordato che anche la borsa valori di Hong Kong tratta numerose azioni di imprese cinesi che rappresentano circa metà della sua capitalizzazione totale.
Sommando la capitalizzazione delle due principali borse cinesi e la metà di quella di Hong Kong si ha la seconda capitalizzazione azionaria del mondo, ancora distanziata da quella degli Stati Uniti, forte del New York Stock Exchange e di NASDAQ, ma superiore a quelle del Giappone e di Londra.
Tutto ciò vuol dire che il sistema finanziario cinese è assai fragile? In realtà, nonostante la sua complessità e inefficienza e la rigidità di molti vincoli normativi, non è così per tre principali motivi.
Vi è innanzitutto la straordinaria capacità di risparmio delle famiglie e di diverse imprese cinesi, che alimenta la liquidità delle banche e della finanza ombra cinese.
Vi è inoltre l’enorme credito netto accumulato dalla Cina verso l’estero e alimentato dai grandi avanzi registrati nella bilancia delle partite correnti degli anni 2000. Ciò ha consentito di accumulare un grande volume di riserve internazionali in oro, dollari e altre valute forti, di attivare un poderoso ”fondo sovrano” e comunque di avere risorse finanziarie gigantesche per respingere importanti attacchi speculativi o salvare istituzioni finanziarie decotte.
Vi è infine il retaggio di molti vincoli posti dalle autorità pubbliche cinesi sulle borse valori, sull’attività bancaria, sui movimenti dei capitali con l’estero, sui movimenti della valuta cinese, ecc. Tali vincoli, se spesso intralciano e distorcono la normale efficienza del sistema finanziario, rappresentano tuttavia importanti armi da dispiegare per isolare l’economia cinese dalle turbolenze finanziarie mondiali e per contrastare improvvise crisi finanziarie interne.
Nel medio e lungo periodo, tuttavia, la pressione dei gruppi finanziari ed economici interni
e internazionali a favore di una piena convertibilità della valuta cinese e di una maggiore liberalizzazione dell’attività bancaria, delle borse valori e dei movimenti di capitali, associata alla legittima aspirazione di molti politici cinesi di accrescere l’importanza della valuta cinese sui mercati monetari internazionali per contrastare il ruolo preminente del dollaro, porteranno probabilmente al graduale smantellamento dell’ imponente castello di vincoli normativi esistenti.
Nel frattempo l’enorme crescita dimensionale del sistema finanziario cinese renderà più difficile arginarne il dirompente accesso ai mercati mondiali, per cui la crisi finanziaria dell’estate 2015 sarà probabilmente ricordata come la timida annunciatrice di ben più gravi crisi del futuro.
* Per un’analisi più dettagliata dei rapporti stocks-flussi e delle interconnessioni fra crisi finanziarie e reali si veda V. Valli (2013). “New economic policies in a changing world: a stock-flow approach”, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XLVII-2013, L.S. Olschki editore, Firenze, pp. 37-53.
** Sulla crescita economica della Cina, vista anche nel confronto con quella dell’India, si vedano G. Balcet e V.Valli (a cura di) (2012), Potenze economiche emergenti. Cina e India a confronto; V. Valli (2015),The Economic Rise of China and India, Accademia University Press, Torino (libro o e-book).
*** Vedi Vanguard (2015., September 25), The Key risk to China’s economy: It is housing, not stocks, in cui vengono usati dati della Federal Reserve.
**** Vedi Vanguard, op. cit., p.3.